Non puoi immaginare
quanto è facile avere della morfina.
Tornando a casa, ne
ho trovate due fiale sul comò.
Qualcuno avrà
già detto una cosa del genere.
Secondo la terapista
del dolore, mia madre soffriva più di quanto non sembrasse.
In effetti, erano
notti che urlava a ritmo del respiro.
Il resto non serviva
più, così ha tirato fuori la morfina dalla borsa.
Dopo tre giorni, mia
madre è morta e ho lasciato la morfina sul comò per un paio di
mesi.
Poi l’ho riportata
in ospedale.
Io non vado mai dal
medico.
Ho fatto le ultime
analisi del sangue nel 1989.
Non sono mai stata
dal ginecologo.
Non vado dal
dentista dai tempi del liceo.
Quando ho mal di
denti prendo 6 aspirine al giorno per quindici giorni.
Quando ho la
bronchite asmatica respiro piegata sul tavolo,
finché non chiamo
la guardia medica,
che mi brontola, mi
fa un’iniezione di cortisone
e mi spruzza il
Ventolin a distanza di 20 centimetri dalla bocca – per non
toccarlo.
Mi faccio una
settimana di antibiotici e cortisone e dimentico tutto fino alla
prossima volta.
Avevo i calcoli alla
cistifellea e non so che fine hanno fatto.
Due anni di mal di
schiena e non so per quale motivo.
Ho la cistite un
mese sì e uno no.
Sono piena di
escrescenze in tutto il corpo.
Non ci penso neanche
a dimagrire.
La mia fortuna è
che non sono malata.
Io sono sana.
Da malata, potrei
mandare tutti al supermercato,
con i prodotti dai
colori giusti, quelli che fanno vendere meglio
e avrei con la
televisione accesa
per non guardare
quei tre parenti
sopravvissuti
all'epidemia di cancro.
Starei al computer a
giocare a dress-up,
a vestire le
bamboline giapponesi, come da piccoli,
con le bamboline di
carta.
Non sto
scherzando.
Mi vantavo di
guardare in faccia il dolore.
Qualcuno avrà
già detto una cosa del genere.
Sono andata a tutti
i funerali,
in tutti gli
ospedali,
ho guardato film
d’essai,
ho abbracciato le
persone.
Ho curato il dolore
con un altro dolore,
una malattia con
un’altra malattia.
Non mi sono cucita
la fica né me la sono inchiodata,
non mi sono infilata
aghi dentro ai capezzoli,
non mi sono tagliata
finemente la pelle del culo,
non mi sono ricamata
le guance,
non mi sono fatta
sventrare con un rasoio,
non ho pisciato
sangue blu.
Ho indossato abiti
sobri,
ho tenuto
comportamenti misurati,
sono stata
accondiscendente,
sono stata complice,
ho detto di sì,
ho lasciato fare,
ho lasciato perdere,
ho lasciato andare,
ho permesso,
ho fatto finta,
ho dimenticato,
ho omesso,
mi sono fermata,
ho chiuso gli occhi,
ho dormito,
ho mangiato cibo
avariato.
Ho cancellato i
desideri.
Basta nascere sotto
una buona stella.
Qualcuno avrà
già detto una cosa del genere.
Non sto
scherzando.
Non ho una malattia
mortale.
Ma l’avrò presto.
Quand'è che le
cose vanno proprio male?
Non è che non so
immaginarlo.
È che il mondo non
mi riguarda.
Il dolore del mondo
non è il mio.
Ho la fantasia
appiattita.
La morte è certo
una condizione migliore
ma uno mi ha detto
che i suicidi rivivono il suicidio per l’eternità –
se ti sei buttato
dal sesto piano, ti butterai dal sesto piano,
se ti sei tagliato
le vene, ti taglierai,
se ti sei impiccato,
poi…
per sempre e con
dolore -
perciò aspetterò.
Mi terrò la paura
della morte
ma non è mica un
lavoro
e la paura del
dolore
ma non è mica nella
lista della spesa.
Qualcuno avrà
pur detto una cosa del genere.
Nel frattempo, voto
per il re delle notti bianche
e l’apertura
selvaggia dei negozi.
Vedo i film di
natale – poltrona prenotata - alla multisala.
Faccio la fila in
autostrada - senza pensare ai reparti di rianimazione.
Leggo i titoli dei
giornali locali con i pensionati investiti dagli autobus, gli
spacciatori albanesi e la programmazione dei cinema porno.
Faccio un nuovo
contratto telefonico.
Rispondo di sì a
tutti quelli che chiedono dieci euro
per la ricerca sul
cancro,
la fibrosi cistica,
la leucemia,
le cardiopatie,
il morbo di
Alzheimer,
la talassemia
e gli animali
abbandonati.
Compro tre chili di
arance al triplo del loro prezzo,
un uovo di Pasqua
senza sorpresa dentro,
un bonsai che morirà
entro una settimana,
una pianta di
gardenie appassita.
Tutto pur di salvare
il salvabile.
Non è detto che si
debba soffrire per forza.
Qualcuno avrà
pur detto una cosa del genere.
Ho deciso di
partire.
Il mondo di
notte, dall’aereo, è una costellazione.
Concentrazione
massima di stelle
in agglomerati
urbani ad alta densità abitativa e intrecci di strade a due corsie.
Concentrazione
minima di stelle
nelle campagne,
abitate da casali nobili e stalle per maiali morituri.
Questo me lo
scrivo.
Qualcuno avrà
mai detto una cosa del genere? E si dice? Eh?
Bisogna andare a
passare l’ultimo dell’anno lontano da qui
per scappare
dall’ultimo dell’anno di qui.
Non sto mica
scherzando.
Penso a giornate
seduta ai tavolini, a bere caffè e fumare.
In giro per librerie
o musei. Mercati. Ristoranti.
Panchine comode di
parchi immensi. Tram. Taxi. Metro.
Tutto a mezz’aria.
E non voglio
parlarne con nessuno.
Quelli che mi
parlano hanno molto da dire.
Hanno problemi che
li torturano.
Hanno urgenze,
emergenze, idee, programmi, progetti, soluzioni, domande.
La Politica. La
Società. La Povertà. L’Arte. I Cani. Il Dolore. La Sofferenza.
L’Amore.
Pensano anche per
me. Menomale.
Non sto
scherzando.
Qualcuno potrebbe
capire male ma io sono sollevata.
Io voglio
dimenticare tutte le parole che mi perseguitano.
Io non voglio avere
ricordi.
In cielo, non vedo
niente.
In alto è tutto
nero, in basso è tutto nero.
Il mondo sparisce.
Un carrello stretto
passa a vendere panini di plastica con burro e salame o burro e
formaggio dal costo di 7 euro l’uno
oppure gratta e
vinci e cataloghi di profumi e magliette della compagnia aerea.
Un mondo di colori a
portata di mano.
Meglio della
televisione.
Perché lo steward è
biondo e sorride e fa le piroette con il giubbotto gonfiabile.
Non posso tollerare
interferenze.
Morfina.
Niente fiabe.
Quando non dormivo
mai,
mi raccontavo storie
di morti, malattie, tradimenti e matrimoni –
io diventavo pazza e
mio marito mi curava e mi tradiva e la sua famiglia mi disprezzava e
poi io mi buttavo sotto un treno – e avevo 12 anni -
per piangere fino a
stancarmi.
Bisogna avere
buoni motivi per piangere.
Nessun motivo per
nasconderne altri,
più terribili della
vecchia che venne a uccidermi una notte
col coltello sullo
stomaco.
Questo, non l’ha
mai detto nessuno.
Adesso voglio essere
felice e il mondo mi aiuta.
Con il bianco dei
pavimenti, dei neon e delle pareti.
Luci accecanti con
oggetti e musica.
Il supermercato più
bianco dell’ospedale,
non è meraviglioso?
Non sto
scherzando.
Voglio andare nel
mondo.
Il mondo è fatto
per me.
Le vie di fuga delle
mattonelle nei centri commerciali mi danno le vertigini,
come un insetticida.
Sciami di scarafaggi
a narici aperte.
Questo, qualcuno
lo ha detto di sicuro.
Certo che, se
salissi su un grattacielo, forse scivolerei giù.
E’ meraviglioso -
sarei morta prima di arrivare a terra - ma meno efficace dei cartoni
animati.
Willy il coyote ha
un obiettivo.
Ha un desiderio.
Uno, preciso.
Io parto. In volo.
L’interno è tutto
bianco, foderato di plastica, morbido e la testa vibra.
È bellissimo. Non
vorrei più scendere a terra.
di Laura Bucciarelli (2008)
Capodanno è un testo teatrale tutelato dalla SIAE.
Nel 2009, è stato finalista al Premio Oltreparola.