sabato 20 aprile 2019

No resurrection


Memorie di corpi


Quando smetti di ricordare il rumore del coltello sulla carne, vuol dire che non sei più tu. Hai cambiato identità.

Quando le ferite si rimarginano e le vedi sfumare senza lasciare traccia, vuol dire che sei morta, il tuo sangue non scorre più. Vuol dire che affidi la tua memoria ad altri e sei finita, per sempre. Vuol dire che hai perso il controllo e non ricordi più il tuo nome.
Hai spostato il tuo peso all'esterno e sei convinta che ci sia un dentro separato da un fuori e un dopo causato da un prima.
Quanti dopo puoi contare senza che ci sia un prima, questo è l'importante.
La tua memoria è andata avanti invece di tornare indietro. La tua memoria può chiedersi solo cosa c'è dopo.

Apri il cassetto, vedi allineati tutti i tuoi strumenti. Se ti sembrano estranei, sei una morta che cammina. Usali per incollarti a te stessa, se ancora credi di esistere.
I tuoi passi non fanno più rumore, scivoli beatamente sul terreno più accidentato, del tutto inconsapevole e inebetita da quello che chiami passato o storia o vita.

Il primo coltello che hai usato stava nella cassettiera della cucina, un lungo coltello dalla lama dentata, molto affilato. Abituato alla carne, è bastato passarlo delicatamente sulla gamba sinistra, appena sopra il ginocchio, per veder uscire il liquido rosso.
La prima volta si è sempre imprudenti, ci si lascia prendere dal piacere dei sensi. Non si conosce la gioia di un rito ben orchestrato. Ci si affida a gesti inconsulti e animaleschi: grattare con le unghie, strappare le croste e godere degli zampilli che cadono in piccoli puntini rossi sul lenzuolo con cui ci si avvolgerà per dormire. È un piacere primitivo.

La prima volta che hai acquistato un coltello è stato il primo passo per fare delle tue scelte una collezione di cui avere cura.

Il secondo passo è stato scegliere le parti del corpo da tagliare, capirne le differenze anatomiche. Se non domandi, non hai responsabilità.

I coltellini da tasca così comodi per uscire, il rasoio per giocare, lame seghettate per i momenti più segreti, una realtà che rischia di disperdersi insieme a te.
Se non distingui le tue armi, non distingui i tuoi stati d’animo.

Apri il cassetto e scegli. Il tagliacarte con il fodero e il manico di legno ha una lama un po’ consumata ma ancora tagliente. Mettilo sul tavolo insieme alla garza bianca, all’acqua e al disinfettante. Non guasterebbe un po’ di fuoco anche se non è uno strumento molto sofisticato.
Siediti, diventa un’attrice. Segui la tua partitura, concediti poche improvvisazioni, in fondo non sei che una dilettante. Ancora ti vergogni.

Se non superi la vergogna, rimani legata al prima. Ogni tuo dopo avrà bisogno di un evento causale. Lascia che a un dopo segua un altro dopo e un altro dopo e un altro dopo ancora. C’è un solo prima. Che il tuo corpo ne diventi la tua memoria.

Le procedure nell'uso dei tuoi strumenti hanno una qualità estetica che supera la somma dei vantaggi che ti procurano. Se all'inizio sei colpita dal sollievo suscitato dalle tue pratiche, nel tempo scopri di ricavare piacere dalla scelta dei momenti, dalla preparazione, dalla cura, dall'attenzione prestata ad ogni singolo atto necessario a compiere la tua opera.

La tua opera è il tuo corpo. Le modificazioni che il tempo gli impone non influiscono sul tuo lavoro se dedichi la tua vita all'arte.

Rendi i tuoi atti del tutto inutili. Cedili ad una ripetizione infinita. Fidati delle tue mani, non temere l’imposizione di una sterilità senza scopo.

Puoi imparare nuove tecniche, se questo ti fa sentire meglio, ma le fughe non servono. Non serve rivolgersi ad altre mani.

L’opera d’arte è segreta, nessuno deve vederla fino alla fine. Se non è la completezza che cerchi, è meglio che lasci perdere.

All'improvviso ti accorgi che la pelle cade dalle ossa, la carne non ha consistenza, la prendi tra due dita e rimane piegata, molle come stoffa. Anche i colori sono cambiati. La faccia è sempre stata gialla ma ora lo sono anche gli occhi e i denti. I capelli si sono diradati. Assumi una postura curva e prendi l’abitudine di sederti di traverso appoggiando le gambe e la schiena ai braccioli di una poltrona come per rimanere raccolta e non disperderti. Sei una lumaca e, in piedi, un albero bruciato. Distesa, un tronco senza gambe.

Il dolore arriva dopo il taglio, con calma, non è mai immediato. La ferita pulsa al ritmo con cui esce il sangue, che provvedi a tamponare con cura. Il mucchietto di garze e cotone insanguinato è testimone della tua commozione.

Non lasciare che i tuoi segni svaniscano del tutto. Rinnovali più spesso che puoi, fanne di nuovi. I tuoi segni non sono parole, sono simboli, sono interi linguaggi, sono mondi, intere culture, sono il libro della tua liturgia. Non sono racconto. Sono la mappa per entrare nella mente.

L’unica verità raggiungibile è che facendoti male allontani la morte. Nessuno può farti più male del tuo coltello.

Quelle fragilità che ogni tanto si affacciano, riflesse in altri occhi, sono il ricordo di un desiderio. Tienile con te.
Chiedi cos'altro puoi sapere.


(Laura Bucciarelli, 2005)

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