Il bambino di sei anni mi chiede cosa
penso del mostro che ha in mano.
È buffo.
Non è buffo, dice. Macché buffo.
E
lo guarda. Fauci bianche spalancate. Denti da coccodrillo, corpo –
celeste – da dinosauro, muscoli da rinoceronte. Scaglie lungo tutto
il corpo e la coda, color giallo pallido.
I mostri hanno colori
pastello. Sanno di plastica e primavera. Di nontiscordardime e
fiorellini di camomilla.
Gli adulti, mio padre e la madre del
bambino, banchettano con teste d'agnello tagliate a metà. Lingua e
cervello spaccati, bulbi oculari integri. L'occhio salta fuori dal
piatto come un'oliva di gomma marrone.
Io puzzo di umanità come il sedile di
un autobus. E sudore, muco, saliva si seccano sulla mia pelle
screpolata e poi unta di crema alla calendula.
Il bambino ha staccato la testa del mostro con un solo, poderoso morso. Nello sforzo ha perso un incisivo.
Il bambino ha staccato la testa del mostro con un solo, poderoso morso. Nello sforzo ha perso un incisivo.
Il collo del mostro, celeste anche
nell'anima, si colora di rosso. Una goccia, due.
Io lo guardo. Il bambino non piange.
Macché buffo. Non è buffo.
E io rido, rido. Mi manca il fiato.
Se ci penso, mi manca il fiato.
(Laura Bucciarelli, non ricordo quando)